Sunday, May 19, 2019

L'Italia e la "Nuova Via della Seta". Cui Prodest?

La firma del memorandum d'intesa sulla "nuova via della Seta" da parte del governo Conte ha suscitato speranze di grandi investimenti Cinesi in Italia, mentre ha irritato e preoccupato Washington e le principali cancellerie Europee. L'Italia non e' il primo paese membro dell'UE a firmare un'intesa simile, ma e' il primo tra i membri del G7, quelle che potremmo definire le grandi potenze Occidentali, a sostenere ufficialmente l'iniziativa Cinese. Purtroppo una valutazione seria indica che il governo Italiano si sia mosso con una certa faciloneria, genuflettendosi davanti alla superpotenza Cinese in modo poco saggio e senza nemmeno ricevere granche' in cambio.

Cos'è la Nuova Via della Seta?

Prima di tutto c'è da sottolineare un punto linguistico: il grande progetto di investimenti intercontinentali sbandierato dal governo Cinese viene tradotto come "Nuova Via della Seta" in Italiano, ma in Cina raramente si usa questa dizione. Il nome Cinese dell'iniziativa e' 一带一路, cioe' "una Cintura ed una Via", e cosi' viene generalmente tradotto in Inglese: "Belt and Road Initiative", o BRI, abbreviazione che usero' anche io per semplicita'. La BRI si dovrebbe dispiegare su due direttrici: una "cintura economica" terrestre composta da sei "corridoi" che ricalcano in qualche modo la via della seta medioevale, con in piu' una estensione nel Sud-Est Asiatico; ed una "via della seta marittima del 21mo secolo" che si snoda attraverso l'Oceano Indiano, arrivando dalla Cina fino alla costa dell'Africa Orientale (e, secondo alcune concezioni, continuando attraverso il Mar Rosso ed il Canale di Suez fino ad arrivare al Mediterraneo ed interessare diversi porti Greci, Spagnoli e per l'appunto Italiani). L'idea sarebbe quella di rafforzare le infrastrutture, i porti e le comunicazioni lungo questi tragitti.

I sei corridoi terrestri e la via della seta marittima previsti dal progetto BRI

L'iniziativa è stata ufficialmente lanciata da Xi Jinping su finire del 2013, circa un anno dopo la sua salita al potere. Negli ultimi anni i media Cinesi non hanno smesso di parlarne, cosa che non sorprende visto che si tratta di un iniziativa legata in modo molto diretto al prestigio del presidente piu' potente ed autoritario che la Cina ricordi dai tempi di Mao, un presidente che pare intenzionato a rimanere in sella ben piu' dei dieci anni che erano diventati la norma tacitamente accettata. Nell'Ottobre 2017, durante l'importantissimo congresso nazionale del Partito Comunista Cinese che si svolge ogni cinque anni, una menzione del BRI e' stata addirittura infilata nella costituzione del partito, ribadendone l'importanza ideologica.

Considerando l'ambiguita' dell'intero progetto, e la totale mancanza di trasparenza che rimane una caratteristica del sistema Cinese, quando si parla del BRI e' molto difficile distinguere la realta' dalla retorica, gli effetti reali da quelli percepiti, le preoccupazioni sensate dalla paranoia. Leggendo gli studi piu' seri sul tema, cio' che colpisce e' che dopo piu' di cinque anni dal lancio dell'iniziativa non esiste alcun consenso riguardo alla portata dell'iniziativa ed al suo effettivo successo nel raggiungere gli obbiettivi prefissati. 

Secondo uno studio da parte del Center for Strategic and International Studies, non esiste alcuna relazione evidente tra la quantita' di investimenti Cinesi che un dato paese riceve, ed il fatto se esso sia posizionato o meno in uno dei sei "corridoi economici" che farebbero parte della nuova via della seta. L'unica eccezione sarebbe il corridoio che lega la Cina al Pakistan, ma si tratta di un progetto dalla rilevanza prettamente geopolitica, che permette alla Cina di accerchiare l'India e rafforzare il suo alleato piu' importante sul versante Sud, oltre ad assicurarsi il controllo di un porto sull'Oceano Indiano che molti credono potra' diventare una base di rifornimento per la marina militare Cinese.

Un altro studio serio indica che, ben lungi dal rappresentare una grande strategia geopolitica coerente e manovrata dall'altro, il BRI e' in realta' un piano abbastanza vago ed indeterminato, la cui spinta propulsiva deriva da interessi interni Cinesi in competizione tra di loro, particolarmente i conglomerati statali desiderosi di accaparrarsi una fetta della torta.

In parte la confusione deriva dal fatto che in Cina gli organi governativi e persino gli enti privati a tutti i livelli hanno un grande interesse ad attaccare l'etichetta della BRI su qualsiasi progetto intraprendano fuori dalla madrepatria, in modo tale da proteggersi politicamente e dare segnale della loro lealta' al presidente Xi. E' assai probabile che buona parte degli investimenti reclamizzati come parte della BRI fossero gia' stati progettati ben prima del lancio dell'iniziativa, o che in realta' abbiano ben poco a che vedere con una visione geopolitica complessiva e sarebbero stati realizzati in qualsiasi caso. Persino un compagnia Cinese che si occupa di trovare mogli Ucraine, desiderose di scappare dal loro sventurato paese, per giovani Cinesi che non riescono a trovare moglie in patria per via dello squilibrio tra i sessi, ha cercato di far passare le sue attivita' come parte della "nuova via della seta"! Dopotutto, anche l'Ucraina e' uno dei paesi interessati.

Gli investimenti Cinesi nel mondo

E' sicuramente vero che buona parte del mondo, soprattutto il mondo "in via di sviluppo", e' stato oggetto di una caterva di investimenti infrastrutturali Cinesi negli ultimi anni. La Cina soffre di una crisi di sovra-produzione, e per risolvere questo problema sta' semplicemente esportando nel resto del mondo il modello di sviluppo che ha funzionato per 30 anni all'interno dei suo confini: investire e costruire, investire e costruire, veicolando i fondi attraverso le banche Cinesi (che ovviamente sono del tutto controllati dal partito-stato) e le gigantesche compagnie statali che dominano ancora buona parte dell'economia Cinese, secondo logiche che nulla hanno a che vedere con il libero mercato, soprattutto perchè le banche non devono preoccuparsi di riavere i loro soldi con gli interessi, e le compagnie non devono preoccuparsi della redditivita' di questi progetti, siccome sono tutti coperti dallo stesso gigantesco sistema statale.

La metropolitana di Addis Abeba, costruita con fondi Cinesi

C'e' molta discussione riguardo alle ricadute sui paesi interessati. Da un lato il sistema Cinese ha finanziato progetti di un'effettiva utilita' sociale ed economica anche per i paesi riceventi, specie in Africa, dove decenni di aiuti allo sviluppo Occidentali hanno cambiato ben poco. Tanto per fare un esempio, Addis Abeba dispone da qualche anno di una metropolitana modernissima e molto utile finanziata e costruita interamente dalla China Railway Group Limited, un azienda statale Cinese. Dall'altro lato queste nuove infrastrutture non vengono regalate ma sono frutto di prestiti da parte Cinese, ed esistono preoccupazioni fondate riguardo al fatto che molti paesi potrebbero precipitare in una nuova spirale del debito, questa volta nei confronti della Cina.

Nel caso piu' eclatante, il governo del Sri Lanka si e' trovato a dover concedere in "noleggio" per 99 anni il porto di Hambantota ad un'altra compagnia statale Cinese, in cambio di 1.4 miliardi di dollari che il Sri Lanka dovra' usare per ripagare il suo debito con la Cina. Un'accordo che non puo' che far pensare al 1898, quando il debole impero Cinese si trovo costretta' a "noleggiare" Hong Kong all'impero Britannico proprio per 99 anni. Anche in conseguenza di questo caso, in molti paesi Asiatici c'è gia' stata una certa reazione avversa contro gli investimenti Cinesi. Per esempio, in Malesia e addirittura nelle Maldive governi neo-eletti hanno accusato quelli precedenti di corruzione per aver approvato progetti Cinese a costi inflazionati, ed hanno chiesto a Pechino di rinegoziare il loro debito o hanno cancellato i progetti accordati. Persino il governo della povera Birmania ha deciso di ridurre fortemente la costruzione del porto di Kyaukpyu, per l'espresso motivo di non caricarsi di un debito insostenibile.

Un immagine del porto di Hambantota, in Sri Lanka, ora in mani Cinesi

Sarebbe certamente molto triste se si dovesse ripetere una versione Cinese della trappola del debito in cui per decenni sono rimasti invischiati tanti paesi Africani nei confronti delle potenze Occidentali. Detto cio', c'e' poca chiarezza anche riguardo al rischio reale che la BRI si trasformi in una nuova forma di strozzinaggio nei confronti dei paesi piu' poveri. Un recente studio della Rhodium Group, una ufficio di consulenza Americano che produce analisi molto rispettate sull'economia Cinese, afferma che probabilmente le preoccupazioni sono eccessive. Cio' che e' successo in Sri Lanka andrebbe visto come un caso estremo; in realta', nella maggioranza dei casi i debiti tra la Cina ed i paesi debitori sono stati rinegoziati in modo abbastanza bilanciato tra le due parti. Nonostante la sua forza economica la Cina dispone di mezzi limitati per imporre il suo volere, ed anche i paesi debitori stanno diventando piu' cauti e coscienti dei rischi che incorrono. E' probabile che in realta' anche Pechino sia abbastanza sensibile alle critiche internazionali, e non voglia dare un'immagine troppa predatoria.

Il mese scorso ha rincarato la dose un articolo di Deborah Brautigam, esperta di relazioni tra la Cina e l'Africa all'Universita' John Hopkins, uscito in occasione del forum tenutosi a Pechino sul BRI. La Brautigam afferma che gli studi in proposito non hanno riscontrato nessuna prova seria che le banche Cinesi, agendo per conto del governo, stiano creando debiti impagabili apposta per intrappolare gli altri paesi e fare gli interessi strategici della Cina. La studiosa conclude affermando che la BRI "non e' una diplomazia basata sulla trappola del debito: e' semplicemente la globalizzazione con caratteristiche Cinesi".

Al di la' della questione del debito, ci sono anche altri rischi e problematiche legate agli investimenti Cinesi in giro per il mondo: la corruzione nei paesi riceventi, l'instabilita' (in Pakistan i progetti Cinesi si sono gia' attirati addosso le ire dei separatisti del Balochistan, che hanno attaccato il consolato Cinese a Karachi), ed ovviamente l'impatto ambientale. Se non mancano progetti Cinesi legati alle energie rinnovabili, ad esempio parchi eolici in Pakistan e fotovoltaici in Argentina, ce ne sono molti altri non propriamente eco-sostenibili: basti vedere le centrali a carbone che aumentano le emissioni di gas serra nei paesi che li ospitano, proprio mentre la Cina comincia a ridurre le emissioni in casa. La Cina attualmente finanzia un quarto di tutte le nuove centrali al mondo.

Promesse mancate

La trappola del debito e' un rischio che per il momento non interessa l'Italia, paese troppo grande ed avanzato per finire in una spirale di questo tipo. Ma la domanda reale è quali vantaggi possa apportare per l'Italia il sostegno ufficiale fornito a questa iniziativa interessante ma discutibile. Occorre notare che ci sono circa un'ottantina di paesi che hanno gia' firmato memorandum di intesa con la Cina legati al BRI. Anche con tutta la buona volonta' e la fantasia non si riesce a capire cosa c'entrino alcuni di essi, come la Giamaica, il Ghana o l'Ecuador, con le nuove vie della seta terrestri e marittime profetizzate da Pechino. Appare evidente che ormai l'etichetta del "Belt and Road" viene applicata agli investimenti Cinesi in qualsiasi parte del mondo, senza alcuna connotazione geografica precisa. 

La cosa piu' importante e' che questi memorandum di intesa in genere non hanno alcuna validita' legale e non parlano di investimenti specifici. Si trattano di atti simbolici e non di sostanza che servono al governo Cinese come prova della loro "soft power", ma all'atto pratico comportano ben pochi vantaggi per la controparte. Il contrasto tra il caso dell'Italia e quello della Francia e' particolarmente emblematico. In Italia Xi Jinping ha ricevuto un trattamento piu' adatto ad un monarca che ad un capo di stato, e l'Italia ha firmato il famoso memorandum. Detto cio', alla fine sono stati firmati accordi reali tra imprese Cinesi ed Italiane per soli 2.5 miliardi di euro come conseguenza della sua visita. Una somma in realta' abbastanza modesta.

Dopo la visita in Italia Xi Jinping si e' recato a Parigi, dove Macron si e' rifiutato di firmare alcun tipo di endorsement politico nei confronti del BRI. Inoltre il primo ministro Francese ha invitato unilateralmente la Merkel all'incontro, in modo da ribadire l'unita' Europea nei confronti del colosso Cinese. Ciononostante, Francesi e Cinesi hanno firmato accordi per un valore di 40 miliardi di euro. 30 miliardi derivano da un singolo accordo per la vendita' di aerei Airbus alla Cina, ma anche escludendo quell'accordo rimangono 10 miliardi, una cifra quattro volte superiore al totale per l'Italia. 

A quanto pare, la firma del memorandum d'intesa non si e' poi tradotto in questo grande fiume di soldi ed investimenti Cinesi in Italia. E' una lezione che hanno imparato anche molti dei paesi dell'Europea Centrale ed Orientale che sono entrati anche loro nella BRI negli ultimi anni, ma sono rimasti delusi dalla portata effettiva degli investimenti ottenuti. Diversi opinionisti internazionali hanno notato la differenza tra il trattamento ricevuto dall'Italia e dalla Francia, ed hanno commentato che probabilmente il governo Italiano avrebbe potuto chiedere molto di piu' in cambio del suo appoggio diplomatico. Apparendo eccessivamente entusiasti e quasi servili, i governanti Italiani hanno probabilmente dato alla controparte Cinese l'impressione di essere ormai disperati, il che non e' mai una buona base per intavolare un negoziato. Inoltre hanno fatto capire che all'interno dell'UE l'Italia e' uno degli anelli deboli della catena, e non agisce di concerto con i suoi alleati.

Naturalmente e' importante confrontarsi con la Cina, e non bisogna rifiutare a priori ogni tipo di investimento Cinese o scadere nella paranoia. Ma proclamare apertamente il proprio sostegno ufficiale alla BRI appare una scelta dubbia sia sul piano pratico, sia su quello etico. La Cina ha degli enormi dissidi irrisolti con il mondo Occidentale ed anche con buona parte dei suoi vicini, derivanti non solo da una mera competizione per l'influenza e gli affari a livello mondiale, ma da un'incompatibilita' di fondo tra il sistema politico, economico e sociale Cinese e quelli in vigore nel resto del mondo avanzato, e da visioni del mondo profondamente contrastanti. E' una situazione che va' affrontata con intelligenza, fermezza e comprensione del fenomeno, ma purtroppo i populisti attualmente al potere in Italia non hanno dimostrato di possedere nessuna di queste doti.

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